"L' ANGOLO DELLA CERTOSA"
E LA CULTURA UNIVERSALE DI MASTRO BRUNO
In occasione della festa di
San Bruno, 6 ottobre 2020
Dom Ignazio Iannizzotto
Priore della Certosa di Serra, si rivolge
alla Comunità, con le parole che seguono:
"che cosa è così giusto e utile e che cosa è così insito alla natura umana come l'amare il bene? "
(dalla lettera di San Bruno all' amico Rodolfo)
IL COMITATO CIVICO MASTRO BRUNO, RICONOSCENTE LO RINGRAZIA:
"SOLO LEI PRIORE, GRANDE CULTURA DI FEDE DI CUI E' IMPROBABILE STABILIREI CONTORNI, SAPIENZA CHE COADIUVA AL MEGLIO IL DIVINO E L'UMANO
POTEVA SEGNALARE LA BELLA NOTIZIA DI ALTRA POETESSA ANALFABETA.
Un villaggio arabo di
Terra Santa, una coppia di sposi poveri ma pieni di fede, e un pellegrinaggio a
Betlemme: è il contesto in cui sboccia il "fiore di Galilea", suor
Maria di Gesù Crocifisso, al secolo Mariam Baouardy, che il Papa ha canonizzato
il 17 maggio 2015 insieme ad altre tre Beate.
La vita straordinaria di questa carmelitana, nata nel 1846 ad Abellin, non
lontano da Nazareth (allora nella Siria dominata dagli Ottomani) è strettamente
legata alla Vergine, alla quale fu consacrata. I genitori infatti, che prima di
lei avevano perso uno dopo l’altro 12 figli, fecero un voto e un pellegrinaggio
a piedi alla grotta della Natività per chiedere il dono di una figlia; per
questo, in ringraziamento, offrirono alla Madre di Dio l’equivalente in cera
del peso della bambina.
Fin dall’infanzia, Mariam manifestò doni di grazia particolari, ma soffrì pure
prove e tribolazioni di ogni genere; rimasta orfana a tre anni, andò poi a
lavorare come domestica, preferendo le famiglie più povere, per le quali chiese
persino l’elemosina; fu sospettata di furto, finì in prigione. A 17 anni ebbe
la prima estasi.
L’ingresso al Carmelo, a Pau in Francia, all’età di 21 anni, fu preceduto dagli
anni vissuti come figlia di S. Giuseppe, (“prima di divenire figlia di Santa
Teresa”, le aveva rivelato la Madonna): per 2 anni fu postulante tra le suore
di San Giuseppe dell’Apparizione, a Marsiglia. La promessa di verginità, la
fece all’età di 13 anni, quando proposta in sposa a un egiziano, si tagliò i
capelli in segno di consacrazione, scatenando la furia dello zio, che per
questo la umiliò e la trattò come una serva. Di lì a poco, Mariam arrivò alle
soglie della morte: in risposta ad un turco che voleva convincerla a
convertirsi all’islam, si proclamò figlia della chiesa cattolica.
Per questo il servo musulmano le tagliò la gola. Furono “le nozze di sangue”,
l’8 settembre 1859. In seguito racconterà di essersi trovata in cielo; a
restituirle la vita “un’infermiera vestita di azzurro” che la curò con
delicatezza straordinaria, e dalla quale ebbe rivelazioni sulla sua vita;
dichiarò anni dopo, che si trattava della Vergine. A prova dell’accaduto le
rimase sempre la voce rauca, una cicatrice di 10 centimetri sul collo, e fu
accertato che le mancavano persino alcuni anelli della trachea. Come constatò
un celebre medico di Marsiglia, sebbene ateo, “doveva esserci un Dio, perché
non avrebbe potuto sopravvivere in quelle condizioni, senza un miracolo”.
Nella sua vita intensa e tormentata, ha viaggiato dai sentieri della Galilea ad
Alessandria, a Beirut, alla Francia, fino a Mangalore in India, dove fu la
prima carmelitana a fare la professione, all’età di 24 anni, nel 1871. Tornò
poi a Pau, a pochi chilometri da Lourdes; di lì nel 1875 partì per la sua Terra
Santa.
Per l’aspetto di fanciulla le consorelle la chiamavano “la piccola araba”, lei
però si definiva “piccolo nulla”. Fu proprio lei - che parlava a stento il
francese, e non capiva certo di architettura - a descrivere il progetto e
dirigere i lavori per la costruzione del monastero che doveva sorgere a
Betlemme: come una torre, nel luogo indicatole in visione dal Signore, su una
collina, prospiciente la Natività. Fece profezie, ebbe persino una rivelazione
sul luogo in cui “il Signore spezzò il pane”, Emmaus Nikopolis, a circa 30 km
da Gerusalemme, in seguito alla quale furono effettuati gli scavi e trovati
resti importantissimi.
Malgrado le molte grazie ricevute, mantenne sempre l’obbedienza ai superiori,
“obbedienza fino al miracolo”, fin dopo la morte: fu questa la prova che tutto
veniva da Dio. Nella sua semplicità, chiamava le stimmate e le manifestazioni
della Passione, che viveva nel suo corpo, “la mia malattia”, e chiese alla sua
cara suor Veronica di starle lontano, perché non ne fosse contagiata. Talora
invece, svegliandosi dalle estasi si scusava per la sua “pigrizia”.
Ma la passione che viveva, fu compresa meglio dopo la sua morte, avvenuta il 26
agosto del 1878, per una cancrena causata da una caduta, avvenuta portando
l’acqua agli operai. Si spense tra dolori indicibili nel monastero in
costruzione sulla collina del re Davide. Quando venne estratto il cuore, fu
rilevata la cicatrice di un ferita profonda e non recente. Il suo cuore fu
“transverberato” come quello di altri santi, tra cui la sua madre S. Teresa
d’Avila.
La vita di Mariam ha coinciso con il pontificato di Pio IX che chiamava “mio
padre”. E fu perfetta coetanea di Bernadette Soubirous Con la santa francese, oltre al fatto di essere illetterata, condivide la grandissima umiltà, che ha lasciato a bocca aperta intellettuali e sapienti. Il suo biografo Amedeo Brunot si disse “impressionato dal fascino esercitato da questa misteriosa araba su tanti intellettuali cattolici: Maurice Barrès, Léon Bloy, Francis James, Julien Green, Jacques Maritain, Louis Massignon, René Schwob... Non può essere segno di un messaggio universale? Dai suoi gesti, dalle sue parole, dalla sua persona si diffonde un forte profumo biblico... “.
Straordinari i pensieri della piccola carmelitana sull’umiltà: “Domando
all’Altissimo: Dove abiti? Egli mi risponde: cerco ogni giorno una nuova
dimora… Sono felice in un anima bassa, in un presepio. Domando sempre a Gesù
dove abita – In una grotta; lo sai come ho schiacciato il nemico? Nascendo così
basso…”. E ancora: “Oggi la santità non è la preghiera, né le visioni o le
rivelazioni, né la scienza di parlar bene, né i cilici; né le penitenze; è
l’umiltà”. “Nell’inferno –disse la religiosa- si trovano tutte le specie di
virtù, ma non l’umiltà; in Paradiso si trovano tutte le specie di difetti, ma non
l’orgoglio”.
Significativo il fatto che proprio Mariam, così piena di grazie straordinarie,
metteva in guardia dalle cercare rivelazioni e cose sorprendenti. “Non andate a
vedere e consultare qui e là lo straordinario, altrimenti “la vostra fede
s’indebolirà”, raccomandava da parte del Signore. “Se vi si dice: la Madonna
appare qui o là; vi è un’anima straordinaria in tal luogo, non vi andate… Il
Signore vi dice: Sii fedele alla fede, alla Chiesa, al Vangelo. Se sarete
fedele alla Chiesa, al Vangelo, Egli sarà sempre con voi e non vi lascerà mai.”
Figlia della sua terra, cantò nello stile orientale – e con le immagini
semplici, che conosciamo dalle parabole e dai salmi - la bellezza del
creato, l’amore del Creatore e la fragilità dell’essere creatura. “Considerate
le api; esse svolazzano di fiore in fiore, entrano poi nell'alveare per
comporre il miele. Imitatele; cogliete dovunque il succo dell'umiltà. Il miele
è dolce; l'umiltà ha il gusto di Dio; fa gustare Dio”.
E’ per l’umiltà di “questa piccola illetterata” che l’intellettuale ebreo,
convertito al cristianesimo, René Schwob espresse l’auspicio che ella “possa
diventare la patrona degli intellettuali, una volta avvenuta la canonizzazione.
Essa è l'ideale che li può liberare dall'orgoglio.”
Di famiglia maronita, battezzata ed educata nella chiesa greco-cattolica,
carmelitana, Mariam porta in dote alla chiesa universale la ricchezza
dell’Oriente cristiano e una particolare devozione allo Spirito Santo. “Il
mondo e le comunità religiose – disse - trascurano la vera devozione al
Paraclito. Per questo vi è l'errore, la disunione, e non vi è la pace. Non si
chiama abbastanza la luce come deve essere chiamata. Anche nei seminari è
trascurata. Chi invocherà lo Spirito Santo, non morrà nell'errore”. E al Papa disse:
“Mi è stato detto che, nell'universo intero, bisogna stabilire che ogni
sacerdote dica una messa dello Spirito Santo tutti i mesi. Coloro che vi
assisteranno avranno una grazia e una luce particolarissima”. Venti anni dopo,
Leone XIII con l’enciclica “Divinum illud munus” prescrisse la novena allo
Spirito Santo in preparazione alla Pentecoste.
Bellissime le invocazioni di Mariam allo Spirito Santo: “Sorgente di pace, di
luce vieni ad illuminarmi; ho fame vieni a nutrirmi; ho sete, vieni a
dissetarmi; sono cieca, vieni a illuminarmi; sono povera vieni ad arricchirmi;
sono ignorante vieni ad istruirmi. Spirito Santo mi abbandono a te”.
Fonte: Zenit
Mariam Baouardy nacque
ad Abellin in Galilea, tra Nazareth e Haifa (nell’odierno Stato d’Israele), il
5 gennaio 1846, da una famiglia araba ma cattolica, di rito greco-melchita. I
genitori Giorgio Baouardy (lavoratore della polvere da sparo) e Mariam Chahyn,
erano ferventi credenti ma infelici, perché avevano perso ben dodici figli,
morti in tenerissima età. Un giorno intrapresero un pellegrinaggio di 170 km a
piedi, diretti a Betlemme per pregare sulla culla di Gesù Bambino, chiedendo
alla Santa Vergine il dono di una figlia, che avrebbero chiamata Mirjam in suo
onore.
Il loro desiderio fu esaudito e nove mesi dopo nacque la bimba, che fu
battezzata e cresimata nello stesso giorno, secondo il rito orientale; un anno
dopo nacque anche un maschietto, Baulos (Paolo). Ma la felicità dopo tante
angosce, fu di breve durata, quando Mirjam o Mariam non aveva ancora tre anni,
morì il padre e dopo pochi giorni anche la mamma per il dolore.
I due orfani furono adottati da alcuni parenti: Mariam da uno zio paterno e
Baulos da una zia materna residente in un vicino villaggio. Nel 1854 quando
Mariam aveva otto anni, lo zio si trasferì ad Alessandria d’Egitto portandola
con sé, così i due fratellini non si rividero più.
La bambina trascorse l’infanzia con tranquillità, ma fece la Prima Comunione un
paio d’anni prima del tempo fissato perché, dietro le sue insistenze, il prete
distrattamente disse di sì.
Non ebbe un’istruzione. cresceva nella sua semplicità e umiltà come un angelo. In un
momento di sconforto per la morte di due uccellini che accudiva, avvertì dentro
di sé una voce: «Vedi, tutto passa! Ma se tu vuoi dare a me il tuo cuore, io
resterò con te per sempre».
Verso i dodici anni fu fidanzata a sua insaputa, secondo l’uso orientale, ad un
cognato dello zio e quando aveva 13 anni le dissero che era arrivato il momento
del matrimonio; giunse il fidanzato portando ricchi gioielli e la sua famiglia
adottiva le preparò vesti ricamate e sontuose.
Ma Mariam non voleva affatto sposarsi e lo comunicò agli zii, i quali, pensando
ad un capriccio di adolescente, coinvolsero il prete e il vescovo della
comunità, affinché la convincessero ad ubbidire a loro, ma tutto fu inutile.
Quando il giovane, proveniente dal Cairo, si presentò per la cerimonia, tutti
aspettavano che Mariam uscisse dalla sua stanza in abiti nuziali: invece lei si
presentò con i lunghi capelli recisi, deposti in un vassoio. Questo gesto
l’espose all’ira degli zii, i quali la relegarono in cucina tra le schiave di
casa, soggetta alle loro prepotenze.
Dopo tre mesi la ragazza si ricordò del fratello Baulos rimasto in Palestina e
tentò di mettersi in contatto con lui. Si fece scrivere una lettera di nascosto
e una sera, l’8 settembre, si recò a portarla ad un servo arabo musulmano,
conosciuto in casa degli zii e che sapeva in procinto di partire per Nazareth.
Ma a casa di quest’uomo ci fu una sgradita sorpresa. La famiglia inizialmente
l’accolse con gentilezze e ascoltò le sue peripezie familiari, poi l’uomo
nell’ascoltarla si incolleriva sempre più, finché non esortò Mariam a lasciare
il cristianesimo e convertirsi all’Islam.
La ragazza oppose un fiero rifiuto: «Musulmana io? Mai! Sono figlia della
Chiesa Cattolica e spero di restare tale per tutta la vita». La risposta
imbestialì l’uomo: le sferrò un violento calcio che la fece stramazzare a
terra, poi la colpì alla gola con la scimitarra.
Creduta morta, Mariam fu avvolta in un lenzuolo e depositata in un’oscura
stradina. Cosa accadde poi, lo rivelò molti anni dopo lei stessa. Come in un
sogno, le sembrò di essere in Paradiso e di rivedere i suoi genitori, mentre
una voce le diceva: «Il tuo libro non è ancora tutto scritto». Al risveglio, si
era ritrovata in una grotta, assistita e curata da una giovane donna, che come
una suora portava un velo azzurro. Dopo circa quattro settimane, la donna
l’aveva lasciata presso la chiesa dei Francescani.
Per lei non poteva che essere la Vergine Maria, come raccontava mostrando la
lunga cicatrice che le attraversava il collo. In effetti 16 anni dopo, un
celebre medico non credente, che l’aveva visitata a Marsiglia, constatò che le
mancavano alcuni anelli della trachea, esclamò: «Un Dio ci deve essere, perché
nessuno al mondo, senza un miracolo, potrebbe vivere dopo una simile ferita».
Abbandonata ormai la famiglia adottiva, con l’aiuto di un francescano, Mariam a
13 anni si mise al servizio come domestica di famiglie non agiate, ad Alessandria,
Beirut, Gerusalemme, dove sul Santo Sepolcro emise il voto di castità perpetua.
Si spostava volontariamente presso famiglie sempre più bisognose, fino a
prendersi cura di una famigliola malata e ridotta in miseria, per la quale si
mise lei stessa a mendicare.
Nel 1863, la famiglia siriana Nadjar presso la quale serviva, si trasferì a
Marsiglia in Francia, portando con sé la diciassettenne Mariam, analfabeta. Qui
avvertì più chiaramente la chiamata di Dio ad una vita consacrata; non riuscì
ad entrare fra le Figlie della Carità, a causa dell’intervento della sua
padrona, che non voleva perderla.
Nel 1865, a 19 anni, fu ammessa fra le postulanti delle Suore di San Giuseppe
dell’Apparizione. Non poteva offrire altro che il suo lavoro manuale, per le
incombenze più pesanti, a cui non si sottraeva, anzi anticipava le altre
consorelle, tranquillizzandole nel suo approssimativo francese; dava del “tu” a
tutti.
Stava quasi sempre in lavanderia o cucina, ma in questi luoghi cominciò ad
andare in estasi e aveva visioni. Il giovedì e venerdì le comparivano, sulle
mani e sui piedi, stimmate sanguinanti. La prima volta fu il 29 marzo 1867:
Mariam credeva che si trattasse di una malattia e, vergognandosene, nascondeva
le ferite con cura. Credendo che potesse trattarsi di lebbra, visto che in
Palestina aveva contattato dei lebbrosi, raccomandava alla Madre Superiora di
stare lontana da lei, ma la Madre, che aveva compreso l’eccezionalità del
fenomeno, la tranquillizzava.
Ma qualche mese dopo, sempre nel 1867, in assenza della Madre Generale, che la
capiva e proteggeva, fu allontanata dall’Istituto, perché i suoi fenomeni
turbavano troppo la comunità. Le venne quindi consigliato di entrare in un
Istituto di vita contemplativa, più adatta per lei.
Il 14 giugno 1867 Mariam entrò nel Carmelo di Pau (Bassi Pirenei), presentata
dalla sua vecchia maestra di noviziato, suor Veronica della Passione, che
garantiva e dichiarò poi: «Quella piccola araba era obbediente fino al
miracolo».
Il 27 luglio 1867 indossò l’abito carmelitano, prendendo il nome di Maria di
Gesù Crocifisso; la sua condizione di analfabeta la relegava fra le converse. A
lei, che voleva solo servire, andava bene così, ma fu deciso invece di
ammetterla come corista. La obbligarono ad imparare a leggere e scrivere, purtroppo
senza successo, per cui nel 1870 ritornò conversa.
Intanto continuavano le estasi. Lei se ne vergognava, convinta che non sapesse
resistere al sonno. Non riusciva a completare una preghiera: come iniziava,
dopo qualche strofa, diceva lei, si “addormentava”. Le stimmate sanguinavano
nel giorno della Passione di Cristo, e si era aperta una piaga sul costato
simile a quella di Gesù in croce.
A ventuno anni ne dimostrava dodici, tanto era minuta e come una bambina ne
possedeva il candore, senza conoscere alcuna malizia.
Con le sue visioni, ebbe la facoltà di prevedere alcuni attentati contro il
papa, il Beato Pio IX, come la distruzione della caserma pontificia
“Serristori” di Borgo Vecchio, che saltò in aria il 23 ottobre 1869. Da allora
la Santa Sede prese ad interessarsi di quella novizia in Francia.
Il 21 agosto 1870 fu inviata insieme ad altre carmelitane a fondare il primo
Carmelo a Mangalore in India. Anche in terra di missione aveva quegli
straordinari fenomeni che lei cercava di nascondere. Benché fosse impedita nel
fisico prostrato, non mancava ai suoi doveri in cucina e nei lavori pesanti.
Spesso sembrava che il demonio prendesse possesso di lei, alternando momenti
nei quali disubbidiva esteriormente alla Regola a manifestazioni straordinarie
di grazia. Le sembrava a volte di essere immersa in un lago circondato da
serpenti, ma la Madonna le diceva: «Io sono tua Madre. Ti metto io in
quest’acqua. Non ti muovere. Tu non mi vedrai, ma io veglierò su di te».
Con l’andare del tempo, la cosa impensierì sia la superiora che il vescovo, che
l’accusarono di essere una visionaria, di ferirsi col coltello, di avere una
troppa fervida immaginazione orientale e, forse, di essere un’indemoniata.
Alla fine nel settembre 1872 fu rimandata al Carmelo di Pau in Francia,
riprendendo la semplice vita di conversa, fatta di tanto lavoro intervallato
dagli episodi prodigiosi. Pur essendo illetterata, componeva bellissime poesie
incantata dalla natura e inventava strane e dolci melodie per cantarle. Ecco un
esempio, quasi un salmo di contemplazione:
«A chi assomiglio io, Signore?
Agli uccelletti implumi nel loro nido.
Se il padre e la madre non portano loro il cibo
muoiono di fame.
Così è l’anima mia,
senza di te, o Signore.
Non ha sostegno,
non può vivere […]».
Intanto i prodigi continuavano. Per sei giorni consecutivi fra luglio e agosto
1873 fu trovata in cima ad un gigantesco tiglio, poggiata sui debolissimi rami.
Solo quando la superiora, a voce alta, le ordinava di scendere, lei leggera,
quasi senza toccare i rami e le foglie, scendeva e si ridestava dall’estasi,
raccontando che Gesù le tendeva le mani e la sollevava mentre saliva, ma in
genere non ricordava nulla di tutto ciò. Le consorelle con premura non le
dicevano niente, facendole trovare ai piedi dell’albero altri sandali, velo,
cintura, perché gli altri le erano rimasti impigliati tra i rami.
Nello stesso 1872 confidò ai superiori che il Signore voleva un Carmelo a
Betlemme in Terra Santa, assicurando che le grandi difficoltà sarebbero state
superate. Papa Pio IX in persona autorizzò la fondazione e così nell’agosto del
1875, dopo un pellegrinaggio a Lourdes, suor Maria di Gesù Crocifisso, con
altre otto carmelitane, salpò per il Medio Oriente.
Il 6 settembre era a Gerusalemme e l’11 giunse a Betlemme, dove fu costruito il
primo monastero carmelitano a forma di torre sulla “collina di Davide”, secondo
un progetto ideato da lei stessa, che diresse anche i lavori di costruzione: fu
inaugurato il 24 settembre 1876 e il 21 novembre le suore poterono entrarvi.
Progettò anche la fondazione di un Carmelo a Nazareth, dove si recò nel 1878 a
vedere il terreno adatto; si recò in pellegrinaggio anche ad Ain Karem, ad
Emmaus, al Monte Carmelo e ad Abellin, senza perdere il contatto con la
presenza di Dio un solo istante.
Fece arrivare in Terra Santa i Padri di Betharram, fondati da san Michele
Garicoïts, per i quali si adoperò per l’approvazione delle Costituzioni. Umile
e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con chiarezza
cristallina, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo. Lo Spirito la
faceva partecipe degli avvenimenti anche lontani, del mondo cattolico, dalle
missioni in Asia all’attività apostolica del “suo” papa Pio IX, alla cui morte
partecipò in estasi, il 7 febbraio 1878; sempre in estasi, partecipò
all’elezione del successore, papa Leone XIII.
Continuò a vivere a Betlemme i suoi ultimi anni della sua breve esistenza, fra
estasi, visioni, levitazioni, bilocazioni, stimmate, ma anche tormenti
demoniaci, ossessioni del maligno. Sempre più attratta da Dio, pregava: «Non
posso più vivere, o Dio, non posso più vivere. Chiamami a te!».
Il 22 agosto del 1878, mentre trasportava due secchi d’acqua per dare da bere
ai muratori che lavoravano nel giardino del monastero, cadde inciampando su una
cassetta di gerani fioriti e si ruppe un braccio in più parti. Mentre la
soccorrevano mormorò: «È finita»; il giorno dopo s’era già sviluppata la
cancrena. Alle cinque del mattino del 26 agosto, baciando per l’ultima volta il
crocifisso, morì a soli 32 anni. Fu tumulata nello stesso convento carmelitano
di Betlemme.
La buona fama di suor Maria di Gesù Crocifisso, definita “Kedise” (“Santa”) sia
da cristiani che da musulmani, ha portato all’apertura del processo per la sua
beatificazione. La fase informativa durò dal 1919 al 1922, mentre il 23 luglio
1924 giunse il decreto sugli scritti. La fase apostolica, successiva
all’introduzione della causa il 18 maggio 1927, si svolse dal 1928 al 1929; la
convalida di entrambe le fasi avvenne il 19 novembre 1930. La sua causa venne
ripresa dopo la seconda guerra mondiale: il 27 novembre 1981 fu pubblicato il
decreto che la dichiarava Venerabile.
A seguito dell’inchiesta diocesana su un probabile miracolo, il 9 luglio 1983
venne promulgato il decreto per la beatificazione, celebrata da san Giovanni
Paolo II il 13 novembre 1983, durante l’Anno Santo della Redenzione. Un
ulteriore miracolo, segno della sua continua intercessione, è stato approvato
con decreto del 6 dicembre 2014.
Il 17 maggio 2015, in piazza San Pietro a Roma, papa Francesco ha ufficialmente
posto alla venerazione di tutta la Chiesa cattolica questa “piccola araba” e
altre tre Beate: la sua conterranea suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, suor
Giovanna Emilia De Villeneuve e madre Maria Cristina dell’Immacolata Concezione
(Adelaide Brando).
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
Note: Nella Chiesa universale è ricordata il 26
agosto, mentre in quello dell’Ordine Carmelitano la sua memoria liturgica cade
il 25 agosto
Uun copiato degno di un disegno e, soprattutto del Destinatario, mentre Mastro Bruno, più modesto nel copiare il proprio nome e cognome si ispirava a se stesso..
Il Comitato Civico Mastro Bruno
Il Presidente Giacinto Damiani
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